
Parlare di sostenibilità oggi è di moda!!!
Ancora più di “moda sostenibile”. Perdonate il giro di parole!
Quasi tutti ormai sappiamo di dover cambiare certe nostre abitudini in fatto di consumi. Dopo Greta Thumberg e il suo messaggio chiaro alla salvaguardia del pianeta, non possiamo più essere indifferenti e ci tocca quindi imparare ad essere anche più ”green“ nel modo di riempire i nostri armadi.
Due anni fa, quando ho iniziato a fare ricerca per selezionare fabbriche che producono T-Shirt per il mio lavoro, mi sono imbattuta in alcune realtà che mi hanno un po‘ sbalordito. Non che prima non ne sapessi nulla ma, approfondendo, certi divari mi si sono mostrati più evidenti.
I nostro figli giocano e si divertono, invece in altri paesi ci sono bambini che lavorano. Ci sono uomini e donne che fanno orari disumani e sono sottopagati per mantenere prezzi bassi.
Lo sappiamo, ma facciamo finta di non saperlo. Siamo ciechi per convenienza. Per soddisfare la nostra voglia di avere sempre di più, di avere più vestiti, cose nuove e stipare i nostri armadi. Anche io l‘ho fatto e un po‘ ora me ne vergogno!
Ma non riesco più fare finta di niente. Così ho iniziato un percorso per imparare a dare più qualità e meno quantità al mio guardaroba. Così vagando tra Internet e Instagram, ho visto che è possibile fare moda e sostenibilità insieme. Che possiamo scegliere con consapevolezza ciò che indossare. Che abbiamo strumenti per limitare lo spreco.
Ho incontrato diverse persone qui sul web che si espongono per questo, che escono fuori dal coro: una è Marina Morgatta Savarese che ha scritto anche un libro (da leggere assolutamente) che io ho trovato molto interessante.
Marina, molto gentilmente mi ha concesso questa breve intervista:
1) Il tuo libro si intitola “Sfashion” perché hai voluto dargli questo titolo?
E’ un titolo volutamente ironico, dove la “S” privativa vuole sfashionizzare (o sfasciare?!?) il mondo della moda, levando un po’ di quella patina glamour all’intoccabile e sacro mondo della Moda! E’ un gioco di parole e anche un’aperta provocazione.
2) Nel libro fai un po‘ di storia sull‘evoluzione del costume, ma per inseguire le tendenze oggi si è caduti nell‘uniformità. Oggi secondo te un abito può ancora essere espressione di comunicazione, espressione di stile personale?
Lo è! In ogni modo noi comunichiamo con gli abiti, anche seguendo le tendenze ed uniformandoci. L’abito il monaco lo fa e la personalità comunque esce fuori, sia che si tratti di una personalità eccentrica, di una più bisognosa di sicurezza o di una che ha bisogno di apparire. Volenti o nolenti, gli abiti parlano per noi. Poi utilizzarli in maniera consapevole è un altro discorso…
3) Il fenomeno delle influencer e delle fashion blogger che ruolo gioca nell’ottica di un consumo più responsabile?
Fino a qualche mese fa nessun ruolo, anzi. Le fashion blogger sono quelle con gli armadi che esplodono di vestiti, sono quelle che comprano nelle catene low cost e quelle che ogni look lo possono indossare solo una volta altrimenti “fa brutto”. Insomma, diciamoci la verità, nessuna ha mai predicato veramente un consumo responsabile fino a poco tempo fa. Ultimamente, e meno male, ce ne sono molte che stanno facendo informazione e diffusione di uno stile di vita più responsabile e di una moda più sostenibile. Ma, ahimè, i modelli di riferimento sono ancora quelli con la scarpiera a 12 ante…
4) Scambi, vestiti di secondo mano, sono idee anche per limitare gli sprechi, tu cosa ne pensi?
Penso che sia una delle opzioni migliori che abbiamo a disposizione. Il fatto di scambiare abiti che già esistono è davvero un modo valido per salvaguardare l’ambiente e non sfruttare troppe risorse. E’ un modo per far durare a lungo, concedere ai capi una seconda vita è un modo per dimostrargli il nostro amore. E poi è divertente, a me dà una certa soddisfazione vedere cose mie che non mi sento più addosso e che prendono una nuova identità indossati da qualcun altro…
5) Io personalmente non sono una fan dei cosiddetti “must have” e ho visto che nemmeno tu lo sei e lo spieghi molto bene nel tuo libro. Puoi fare alcuni esempi per chi non lo ha ancora letto?
Il “must have” è un modo di dire proprio della moda utilizzato per venderci ogni stagione qualcosa di nuovo che “non puoi proprio non avere” (sottotitolo “se no sei out”). E poi ci sono i classici, capi che DEVI avere per forza nel guardaroba come jolly: il solito tubino nero, il trench, le ballerine…Com’è possibile che esiste un capo che va bene per tutti?!? Ecco, io questa cosa non l’ho mai digerita. Per me il vero must have è qualunque cosa ci fa sentire a nostro agio e proprio per questo motivo varia da persona a persona. Ognuno deve scegliere quello che ritiene meglio per sé, per vestire la propria persona ed interpretare la propria personalità, senza paura del giudizio altrui o di sentirsi fuori luogo perché non allineato con i trend del momento.
6) Hai creato il manifesto dello Sfashionista e io adoro il punto 4 e il punto 8. Al numero 8 dici di voler far ragionare la moda, è davvero possibile?
Io sono fiduciosa, se non altro ci provo… 😉 (e non sono l’unica, quindi se l’unione fa la forza secondo me c’è del margine di riuscita)
7) Fashion-etiquette, dopo aver destrutturato la moda e il suo mondo, cosa serve per rimodellarla?
Servono consumatori consapevoli, servono CEO illuminati e direttori di aziende che non vogliono il profitto a tutti i costi. Serve l’etica e l’empatia. Un approccio olistico ed un ritorno allo slow fashion. Ci vuole un cambiamento, un’azione di recupero dove la qualità, l’artigianalità, il saper fare e l’unicità riprendano il loro posto. La moda deve tornare ad educare al bello, al poco ma buono, ad amare quello che c’è nell’armadio e a farlo durare di più. E poi deve imparare a prendersi meno sul serio…;)
Adesso, se volete approfondire anche voi, non vi resta che andare a leggere il libro di Marina !!